Un nuovo ed importantissimo passo in avanti è stato messo in atto da un gruppo di ricercatori in merito alla demenza senile, un risultato che cambia in modo considerevole l’approccio alla malattia e alla cura negli anni.
Nel corso degli anni abbiamo imparato a conoscere quali sono gli effetti della demenza senile sulla persona, come se un’intera vita venisse cancellata in pochissimo tempo: si smette di essere ciò chi siamo, un colpo di spugna che porta via ricordi e che che confonde la mente.
In un primo momento gli scienziati hanno studiato la malattia da vicino nel momento in cui gli “effettivi” sintomi si sono presentati nel paziente, insieme appunto alla perdita di memoria cercando di ritardare il processo quanto più possibile. Adesso, però, qualcosa sembrerebbe essere cambiata davvero… una rivoluzione medica che permetterà ai pazienti di agire in tempo e non perdere tutti i ricordi custoditi nella loro mente e non solo.
Ebbene sì, come abbiamo avuto modo di spiegare precedentemente, nel corso degli anni l’intenso lavoro degli scienziati hanno lavorato intensamente al fine di imparare a conoscere meglio la demenza senile e come migliorare lo stile di vita dei pazienti che ne sono affetti.
Quanto detto è un processo lungo in atto ancora oggi e che ha fatto sì che i ricercatori individuassero le cure designate caso per caso, affinché non migliorasse solo lo stile di vita ma anche la conservazione dei ricordi, ritardando quanto più possibile un processo di “cancellazione” del pazienze che, ad un certo punto, diventa inevitabile.
Recentemente, uno studio finanziato dal Medical Research Council con il supporto del NIHR Cambridge Biomedical Research Center, lo studio è stato pubblicato su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, ha fatto luce sulla possibilità di anticipare considerevolmente una possibile la diagnosi e capire ancor prima che si presentino i sintomi che il paziente in futuro andrà in conto, appunto, a questo tipo di malattia.
A parlare dello studio e dei risultati raggiunti è stato Nol Swaddiwudhipong, nonché autore dello studio sopracitato che ha così commentato il risultato raggiunto: “Quando abbiamo guardato indietro alle storie dei pazienti, è diventato chiaro che mostravano un certo deterioramento cognitivo già diversi anni prima che i loro sintomi diventassero così evidenti da richiedere una diagnosi. Le menomazioni erano spesso sottili, ma riguardavano una serie di aspetti della cognizione”.
Infine, Nol Swaddiwudhipong, ha così concluso il suo intervento: “Questo è un passo avanti verso la nostra capacità di selezionare le persone a maggior rischio, ad esempio, le persone con più di 50 anni o quelle che hanno la pressione alta o non fanno abbastanza esercizio e intervenire in una fase precedente per aiutarle a ridurre il rischio”.
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