COVID diventa il rischio di infarto dopo il contagio, lo studio condotto su un numero di soggetti in relazione ai contagiati e non nell’anno 2020.
Il contagio da COVID-19 ha portato non solo ad una psicosi generale anche dopo che è rientrato, ma i due anni di pandemia hanno portato notevoli ripercussioni sia per quanto riguarda l’aspetto psicologico sia per quanto riguarda il Long COVID ma ancora forse è più preoccupante l’aspetto delle conseguenze che chi è a contratto il COVID-19 ha purtroppo ancora con Si.ad oggi uno studio far risultare che chi ha contratto il COVID a rischio morte e problemi al cuore più alto per 18 mesi dopo l’infezione. La ricerca è stata condotta dall’Università di Hong Kong ed è studio è stato effettuato su 160.000 persone.
I pazienti covi d’avevano una maggiore probabilità di sviluppare numerose patologie cardiovascolari rispetto a quelli che non erano stati infettati.il nuovo studio condotto dall’Università e pubblicato anche sulla rivista Cardiovascolar Research ha individuato i soggetti non infettati dal coronavirus e quelli invece che sono stati infettati e la probabilità di morte nei secondi per quanto riguarda le patologie cardiovascolari era fino a 81 volte più alta nelle prime tre settimane dall’infezione e rimaneva cinque volte più alta fino a 18 mesi.
Un rischio importante quindi per coloro che hanno contratto il COVID-19 secondo lo studio effettuato dagli studiosi che hanno sottolineato “i pazienti COVID avevano una maggiore probabilità di sviluppare numerose patologie cardiovascolari rispetto ai partecipanti non infettati il che potrebbe anche aver contribuito al loro maggiore rischio di morte“, queste sono state le parole dell’autore dello studio Ian Wong. Wong ha continuato dicendo che “i risultati indicano che i pazienti con il Covid 19 dovrebbero essere monitorati per almeno un anno dopo la guarigione dalla malattia acuta per diagnosticare le complicanze cardiovascolari dell’infezione”. In pratica lo studio ha confrontato quella che è l’insorgenza di patologie cardiovascolari e quindi la conseguente morte nei soggetti che hanno riscontrato il contagio dal virus reclutati prima del dicembre 2020 quando non erano disponibili i vaccini.
Tra il 16 marzo 2020 e il 30 novembre 2020 sono stati identificati 7500 pazienti ed ogni paziente è stato abbinato a un massimo di 10 individui che non avevano invece contratto il COVID. In pratica i soggetti la cui età media era 66 anni ed erano misti per età sesso fumo diabete ipertensione condizioni cardiovascolari e date condizioni di salute nonché il peso l’etnia e il reddito, avevano maturato la possibilità quattro volte maggiore di sviluppare la malattia cardiovascolare la fase acuta e 40% in più nella fase post acuta rispetto ai soggetti che non erano stati infettati.il rischio di morte nei guariti dal COVID-19 era fino a 81 volte superiore nella fase acuta e cinque nella fase post acuta.
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