Nuovi controlli per chi lavora in smart working oggi non lo puoi fare ovunque, arrivano i controlli ecco dove e cosa sta succedendo.
Il lavoro agile, conosciuto anche come smart working, sta diventando sempre più diffuso in Italia, e con esso l’esigenza di un controllo adeguato su dove viene effettuato. Da marzo 2020, quando la pandemia è esplosa in Italia, le persone in smart working sono raddoppiate, passando da 2,5 milioni a 5 milioni che ancora oggi operano in questa modalità. Il smart working è ora diventato una regola e un punto di riferimento per molte aziende. La legge impone che il lavoro smart sia svolto solo nei luoghi che soddisfano determinate condizioni: l’ambiente di lavoro deve essere adeguato, sicuro, salubre e idoneo allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Per garantire il rispetto delle regole, le aziende hanno iniziato a effettuare controlli più stringenti sui luoghi in cui vengono eseguite le attività di lavoro agile. I datori di lavoro devono assicurarsi che i loro dipendenti svolgano le loro mansioni in luoghi adeguati, garantendo la privacy e la sicurezza dei dati.
Anche le Persone Privata (PP) sono coinvolte nei controlli. Nella maggior parte dei casi, ciò si traduce nell’utilizzo di tecnologie di monitoraggio del lavoro come software di sorveglianza a distanza, software di sicurezza per la virtualizzazione del desktop o dispositivi di geolocalizzazione.
Per il lavoro in smart working, la responsabilità è sui datori di lavoro
Quando si tratta di lavorare in modalità smart, la legge impone la responsabilità sui datori di lavoro. La sicurezza dei dipendenti che lavorano da remoto e i dati sono due fattori fondamentali per assicurare che le attività svolte siano in linea con le normative vigenti. Pertanto, il controllo periodico di dove avviene il lavoro è obbligatorio.
La situazione circostante la mancata intesa tra Italia e Svizzera riguardo al fine dello smartworking non è stata ancora risolta. Lo smartworking, introdotto durante l’ultima fase della pandemia di Covid-19, è una modalità di lavoro flessibile che consente ai dipendenti di prestare le proprie mansioni da qualsiasi posizione remota o in qualsiasi momento della giornata.
Le parti coinvolte nella mancata intesa
Le parti coinvolte nella mancata intesa sono l’Ufficio Federale delle Contribuzioni della Svizzera (URS) della Confederazione Elvetica e l’Agenzia delle Entrate italiana, che cercano di raggiungere un accordo su come trattare le tasse dovute in relazione allo smartworking.
Per quanto riguarda l’Italia, le tasse dovute dai cittadini italiani che lavorano per imprese svizzere vengono calcolate in base a una stima degli oneri sostenuti dal datore di lavoro nella realizzazione di progetti. Inoltre, uno speciale regime di tassazione può consistente in un’esenzione di tre anni a seconda di determinati parametri.
Come dovrebbe essere lo smartworking tra Italia e Svizzera
D’altro canto, l’URS non riconosce questo regime e afferma che ogni dipendente italiano che lavora per un’impresa svizzera dovrebbe essere tassato in Svizzera. Tuttavia, questa tassazione ha portato a controversie tra le due nazioni riguardo a come il reddito venga trattato dalle autorità fiscali.
Al momento, si sta discutendo sovente di come dovrebbe essere gestito il fine dello smartworking tra Italia e Svizzera. Si spera che un accordo possa essere raggiunto per quanto riguarda l’ampia questione tributaria che interessa entrambe le parti. Allo stesso modo, si auspica che l’accordo possa considerare anche i diritti dei lavoratori telelavoratori che vivono in entrambi i Paesi.